Potrebbe essere questa l’essenza della ricerca pittorica di Marco Bellomi in questi ultimi anni.
Artista milanese autodidatta, di formazione scolastica rivolta alle arti grafiche, in questi anni è presente sulla scena milanese con numerose mostre collettive, spingendosi fino in quel di Venezia dove espone nel 2012 a Palazzo Zenobio riscuotendo un discreto successo.
La sua è appunto una volontà palese di voler circoscrivere, ridefinendolo, uno spazio pittorico caratterizzato da ampie campiture di colore, da geometrie astratte solcate da segni evidenti di primitiva, sciamanica incisività.
Il tutto riporta ad una poetica al limite della figurazione, rivolta ad indagare gli spazi, le frontiere incerte, i limes di un territorio che ci parla della dimensione del Sacro, dell’Altro da Sé ovvero dell’incerto, della trascendenza, dell’impermanenza.
Alla domanda “cosa c’è al di là dello spazio delimitato, evocato?“ possiamo solo rispondere con un’altra domanda, evocativa di uno spazio di senso che assorbe completamente l’osservatore: “Sono io dietro quel confine? Quella delimitazione mi identifica e descrive sufficientemente?”
Allora i segni, gli spazi ci parleranno di Noi , della nostra capacità di abbandonare le certezze, i bisogni indotti e la continua ricerca del senso e di sicurezza che ci fa Uomini, soggetti indifesi all’immanenza della Libertà
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estratto verbale PREMIO ARTE CONTEMPORANEA " IL SEGNO 20112"
La Giuria assegna infine il
Premio Pablo Picassoper l’artista più completo che si sia distinto in più di una delle categorie del concorso aMarco Bellomiin finale sia con un’opera pittorica che con una scultura, entrambe di grande forza e raffinatezza esecutiva.
Lo scolabottiglie arrugginito
C’è un’eredità che giace da molti anni in attesa di qualcuno che se la prenda. Una straordinaria, ricchissima, problematica, contraddittoria eredità. Un’eredità che si è andata accrescendo generazione dopo generazione, nel corso di quasi tutto il Novecento, poichè ogni nuova generazione rinnegava sistematicamente il lascito della generazione precedente e, coerentemente, cercava altrove la propria fortuna, attingeva da altre fonti i propri tesori. Così decennio dopo decennio tale eredità cresceva a dismisura. Cresceva e si complicava. Una eredità in cerca di eredi: l’eredità dell’Arte del Novecento.
Ma più passa il tempo più la faccenda si complica. E certi lasciti rischiano di apparirci oggi inutile (e inutilizzabile) paccottiglia da robivecchi. Lo scolabottiglie di Duchamp si è arrugginito. L’Urlo di Munch riecheggia lontano, sempre più lontano. E il taglio di Fontana vien voglia di ricucirlo …
Credo che oggi, dissolto il miraggio del nuovo a tutti i costi e smaltita la lunga, secolare sbornia delle Avanguardie, uno dei compiti che attende l’artista “post-moderno” sia quello di elaborare un linguaggio, una “koinè”, che attinga a vocaboli, sintassi e regole estetiche e grammaticali di diversa provenienza (meglio se di matrice novecentesca) e che sia in grado di contaminare e possibilmente far conflagrare almeno alcuni degli universi di segni che le varie Avanguardie hanno creato nel corso del secolo scorso e ci hanno lasciato come eredità… (Virgilio Patarini)